Review - Ugo Tognazzi. Ritratto di mio Padre.









6.5 su 10


Per certi versi, considerando la levatura di un genio come Ugo Tognazzi, il docu riguardante la sua storia è davvero troppo piccolo, semplice, anche sintetico. "Ritratto di mio padre", diretto dalla figlia-regista Maria Sole, è un omaggio sentito, sincero,  ma anche scolastico, frettoloso, un pò ripetitivo. Non c'è molto da dire sulla struttura, caratterizzata da un numero congruo di interviste a personaggi fondamentali del nostro cinema, a cui aggiungere l'uso di reperti visivi storici, oltre agli sguardi dal set, che sono la cosa più originale e alternativa del film. La linearità aiuta a non appesantire, e Maria Sole ha il garbo di non entrare in scena, lasciando la descrizione del ritratto umano del padre ai fratelli maggiori della popolosa "famiglia allargata",  e quello artistico-personale agli amici del cinema. Forse ciò che colpisce maggiormente è proprio il riserbo della regista, che sembra partecipare davvero al percorso-ricerca di scoperta del padre. D'altronde, il documentario risente molto dell'ottica famigliare, troppo, non si presta a vere problematizzazioni caratteriali del personaggio-uomo-attore ed è anche privo di quel mordente che solo un esterno alla cerchia avrebbe potuto garantire, da imparziale creatore di cinema e delineatore di storie interessanti  e senza preconcetti positivi o meno. In quel caso, forse, la ricerca del materiale, l'inquadramento della storia, le interviste ai noti artefici del cinema dei tempi (c'è ancora Monicelli, che è il più lucido e il meno qualunquista), avrebbero assunto un carattere più pepato e meno domestico. Di Tognazzi, carpiamo qualche particolarità della vita, squarci della personalità, ma non si va oltre, non ricerca con precisione il carattere del Tognazzi attore a tutto tondo, nè si comprende completamente come uomo. Non è che manchino le scansioni della gloriosa carriera, nè tantomeno che qualche parte sia volutamente tralasciata (da Ferreri a Bertolucci a Scola fino ad un quasi-esordiente Pupi Avati, al teatro, alle sue regie, agli esordi, non manca nulla), piuttosto non è facile descrivere l'anima lavorativa dell'attore, che viene analizzata su un profilo esterno, ma mai cercando di cogliere le caratteristiche interiori che portavano ad agire in un certo mondo un personaggio. Per altro, i registi interrogati non fanno altro che evidenziare come il meglio della sua recitazione venisse in mancanza di direzione altrui, ma il lavoro di comprensione e di problematizzazione dei suoi toni recitativi è molto limitato. Il film, insomma, ponendosi a tutto tondo come un ritratto umano e artistico, pur cercando di farli confluire, non riesce a dare una dimensione precisa e memorabile a nessuno dei due.

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