7.5 su 10
Primo accorgimento. "Get Low" non è un film organico. Ciò significa che non segue una collocazione complessiva chiara, nemmeno dopo una visione totale. Proprio per questa volontà di non definirsi mai pienamente come commedia o dramma e per il gioco forza che intercorre tra l'elemento surreale e quello tipico di un semi-melò di ambientazione, potrebbe incontrare problemi evidenti di accoglimento univoco. Nei confronti della pellicola, è tanto facile portare avanti dissertazioni sui limiti, così come elogiare in maniera esemplare le caratteristiche del film. Questo doppio atteggiamento deriva dall'atipicità dell'opera, che segue, per giunta, un andamento che non si può definire, per buona parte, completamente esaustivo. Al centro della storia, un funerale, voluto da un uomo solitario e barbuto, che nasconde un segreto (ed è proprio, in questo senso, che la sceneggiatura arriva a completare il piano narrativo solo nelle sequenze finali, di certo non agevolando lo spettatore comune). Il funerale, organizzato da un'impresa di pompe funebri gestita in tandem da uno stralunato uomo d'affari (Bill Murray) e un ragazzone-americano con tanto di famiglia a carico (Lucas Black), non è qualcosa di veramente comune. E' lo stesso vecchio, divenuto oggetto di un cumulo di storie in città (il riferimento è a Felix Breazeale, personaggio esistito negli anni '30) e rintanato in una casupola del bosco da quaranta anni senza contatto alcuno, a pagare per la sua cerimonia, a cui invitare tutta la cittadinanza. E l'ovvia discrepanza sta nel fatto che non vuole un funerale da morto, ma da vivo. Tutto ciò che si manifesta attorno, compreso un ritrovato rapporto con una donna del passato, interpretata da una magnifica Sissy Spacey, è un percorso difficile verso la comprensione reale del gesto. Le avvisaglie ci sono ed aiutano lo spettatore a farsi un'idea che si rivela coerente, ma solo il discorso finale dà una comprensione chiara della "colpa" che l'uomo porta con sè da tanti anni. Seppure, ad un certo punto, la sceneggiatura sembra incepparsi, tra personaggi che non sembrano avere una vera continuità narrativa tra loro, alla fine la matassa si scioglie, con qualche forzatura inevitabile. E' proprio la struttura, coadiuvata da una magnifica recitazione (e il protagonista, il grande Robert Duvall, è di un'intensità unica e, soprattutto alla fine, riesce a modulare il carico emotivo con immedesimazione totale, da Oscar, davvero), da personaggi ambigui, a rappresentare un elemento di interesse, che può trovare o meno l'accoglienza da parte del pubblico a seconda della volontà degli spettatori di accettare ambiguità costanti e discrepanze volute e funzionali. Il film è diretto da Aaron Schneider, al suo esordio nel lungometraggio, e aiutato da una ricostruzione fotografica splendida e non patinata(di David Boyd). Ho amato questo film, anche se la prima sensazione è stata di vera e propria scissione tra le due componenti, commedia e dramma, difficlmente prevedibile, partendo dal concept.
Commenti
Posta un commento