Editorial-Review - "Figli delle stelle" e il cinema Italiano





4,0 su 10

Non voglio entrare nel merito delle problematiche del cinema italiano. Non per altro, ma proprio perchè è un inutile uso dei polpastrelli delle dita. Una sola cosa però la voglio scrivere, a rischio che le mani si rifiutino di obbedire. Con il dovuto rispetto per il lavoro altrui, mi chiedo solo e soltanto perchè, perchè mai, per quale ragione incomprensibile i film italiani sembrino tutti la copia di altri film nazionali di inizio 2000, a loro volta copia mal riuscita di film italiani della commedia anni '60, a loro volta "episodi minori" rispetto ai classici di quel periodo, al oro volta figli, in parte, del "neorealismo" dilagante in passato. Vorrei prendere in considerazione alcuni prodotti affini a questo filone, in un modo o nell'altro. Ma le dita si ribellano ed evito caldamente. Anche perchè sarei di un acidume innaturale, quasi mostruso. Per questo passo, dolorosamente, al film. Partiamo dal soggetto. Sembra quasi che hanno tirato fuori un soggetto nuovo, a prima vista, che non riguardi esami di maturità, scontri generazionali, trentenni con storie complicate e amanti minorenni (manca giusto il settantenne con le minorenni e il cerchio si chiude), dissidi maschi/femmine, adolescenti che parlano con un accento incomprensibile e con parole coniate ad hoc ed inserite, di rimando, nello Zingarelli, che sembra avere un contratto di esclusiva per l'inclusione di termini del gergo spettacolare, matrimoni, corna e un urlo, un eloquente urlo da donna in travaglio che risolve il tutto, facendomi abbandonare la sala (roba che nemmeno gli ultimi film di Woody Allen). Un'altra tipica caratteristica del nostro cinema, evidente anche in "Figli delle stelle" di Lucio Pellegrini, è la sceneggiatura intesa come struttura. Tempo fa leggevo l'apposito corso tenuto da Fabio Bonifacci ed ho capito quale sia, forse, il problema. Le produzioni italiane vengono fatte a tavolino, con un gruppo di sceneggiatori, in molti casi, chiamati a mettere in essere uno script diretto da un regista che è anche sceneggiatore della stessa pellicola. Ora, con tutto il rispetto (repetita iuvant), ma per scrivere quattro ovvietà (evitando inutili volgarità) c'è pure bisogno di più menti che le debbano partorire? E soprattutto c'è bisogno di un team di lavoro che andrebbe bene per l'animazione (sul modello americano) in cui l'inventiva-innovazione la fa da padrone, e che è fermo giusto giusto al cinema italiano anni '50'-60, con l'unica consapevolezza che quel periodo è un tracorso difficile da ripetere, per diversa concezione sociale, storica, e soprattutto produttiva? Perchè, sinceramente, non vedo il clan di Monicelli scrivere una sceneggiatura su pressioni di una casa, oppure sotto stretto intervento pubblicitario di un product-placement irritante (Da Parenti alle "Lezioni di Cioccolato" in Perugina). Leggendo Bonifacci, sembra che la sceneggiatura e l'arte cinematografica sia diventata una produzione fine a sè stessa di merci-scritte. Quando vedo i risultati economici di questo cinema italiano, da Zalone a Genovese a Miniero a Ozpetek (che ha assoldato un certo Cotroneo, ormai sulla bocca di tutti), mi viene un grosso dubbio, che è una certezza: ma che vogliano trasporre la televisione leggera, scacciapensieri, enfatica a quello che è il vecchio caro cinema? E ho volutamente dimenticato il Muccino-Italiano, ma è un'altra storia. Tornando a "Figli delle stelle", chi ha scritto la sceneggiatura (e sono in tre, regista compreso), si è reso conto di aver compiuto uno scempio iniziale del soggetto, riducendo quella che poteva essere una black-comedy tagliente in un racconto generazionale di trentenni-quarantenni poveri e disperati che cercano un riscatto che non arriva mai? E si sono accorti di esser caduti nel patetico più smielato nel finale raccapricciante? E si sono anche accorti che hanno praticamente scisso in due un film tra primo e secondo tempo, con trovate che hanno la credibilità di una serie tv come "Tutti pazzi per amore", senza averne nemmeno un briciolo di simpatia o originalità? E gli attori sono andati lì e hanno imparato il copione il giorno prima? E da dove è venuto il coraggio di recitare simili castronerie? Certo, dopo Bob De Niro a lavorare nella saga dei "Fotter", uno queste cose se le può anche aspettare, ma davvero non in modo così deciso, quasi un gancio destro. Si è accorto Fabio Volo che ha l'espressività di un criceto morto? E Battiston che potrebbe anche fare qualcosa di leggermente diverso? E Sassarelli che non è in "Un Medico in famiglia"? E Favino non poteva evitare la caratterizzazione da avanspettacolo? Se la cavano meglio la Pandolfi e Tiraboschi, anche perchè sono meno giogioni grotteschi. A me questo film ha irritato, quasi come l'osceno "Matrimoni e altri disatri" di Nina di Majo. E i polpastrelli delle dita li ho dovuti consumare mio malgrado.

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