Review - Lourdes




Prima cosa, con una materia del genere, è necessario inquadrare la collocazione del film. "Lourdes" è ateo, quanto la sua regista, Jessica Hausner, sbattezzata. Ma il suo essere ateo non è in conflitto con la fede, casomai un modo diverso di leggere il mondo religioso e non. Non è da dimenticare che, nonostante l'ambientazione e la documentazione della regista, si tratti di un lungometraggio, con una costruzione narrativa, estetica, valoriale ponderata a prescindere. Detto questo, per molti versi, "Lourdes" è un capolavoro dell'analisi, un film che mostra il cinismo laddove dovrebbe dominare l'umanità e non fa sconti a nessuno, malati, preti, ragazzi accompagnatori. Si assiste (ed è una delle critiche più forti della regista) alla spettacolarizzazione a fini propagandistici del miracolo, sia esso un fatto temporaneo, sia esso un fatto permanente (con tanto di un fantomatico premio al "miglior pellegrino"). E si cerca di risalire alle motivazioni dell'accaduto. "Lourdes" è un pò l'analisi della fenomenologia del miracolo, la sua volontà di risalire ad un perchè razionale, che sfugge anche a chi si fa portavoce dell'esistenza dello stesso. E, così, il film diventa una peculiare forma di contrasto fede/ragione che non ha luogo di esserci e che può alimentare, in un'angolazione religiosa, solo maggiori amarezze per chi non viene colpito dalla grazia, che si anima di un cinismo e di una disperazione più forti di un tempo (e ci sono scene molto eloquenti nella loro asciuttezza). A ciò si aggiunga la possibilità di una temporaneità del fenomeno miracoloso, e l'opportunismo, evidente nelle luci al neon e nella commercializzazione imperante che riempie la città, oltre la rete metallica che la separa dal luogo destinato al pellegrinaggio. La Hausner, piuttosto che concentrarsi sull'elemento filosofico in sè, preferisce arrivare ad una propria  interpretazione, peraltro sfumata (da qui l'incomprensione del film da parte della parte cattolica che lo ha premiato impropriamente) tramite la storia di una comunità di malati giunta nel paese francese per guarire. E, con una regia "invisibile", una costruzione scenica di una semplicità disarmante ma anche di una bellezza fotografica superba, "Lourdes" diventa un film autoriale di forza viva, grazie anche all'interpretazione ambigua e mutevole di una Sylvie Testud che viene da una lunga carriera e trascende, con le sue caratteristiche fisiche, la stessa età anagrafica, fino a diventare un simbolo. Da ricordare il lungo piano-sequenza iniziale che è una perla di cinema d'autore e che fa intendere come sia un prodotto non destinabile a tutti.

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