Presentato, fuori concorso, come evento speciale romano, "The kids are all right" è il presunto film-manifesto della diversità che finisce (ed è un suo pregio) nel rivendicare la sua normalità. La storia delle due madri lesbiche perde, di passo in passo, la sua carica di sorpresa, novità (che per alcuni è, stoltamente, indignazione), per diventare una semplice storia famigliare, peraltro non scossa da eventi che possano davvero colpire lo spettatore, con qualche tipico tratto femminile (il sodalizio Bening-Moore è la cosa migliore, visto le sfumature e la perfetta e reciproca empatia), qualche emozione forte (penso alla sequenza finale, quella del distacco) e un personaggio, il donatore Mark Ruffalo, che sembra del tutto fuori posto. A dir la verità, è l'impostazione della scrittura a non convincere del tutto. La sceneggiatura ha delle cadute di stile frequenti, dei vuoti narrativi, delle evidenti esagerazione e qualche scivolone anche in termine realistico. C'è una sequenza, in cui si scontrano un'odiosa Julianne Moore e un giardiniere con viso paonazzo e grottesco, che non ha una sua giustificazione logica a fini narrativi e non è nemmeno in grado di aiutare nella definizione del personaggio. Ma la serie delle incongruenze e delle inverosimiglianze è lungo. Il film non dice perchè ci sia un cambiamento di atteggiamento dei suoi personaggi, nè ne fa intendere le sottostorie. Da un momento all'altro, il figlio quindicenne, interpretato da un bravo Cameron Bright, oscilla dalla necessità di un padre all'indifferenza totale nei suoi confronti. In ogni discussione, relazione, spesso legate al mito della tavola come punto di conoscenza-incontro-scontro, non si capisce dove la regista, anche sceneggiatrice con Stuart Blumberg, Lisa Cholodenko, voglia andare a parare. Lascia i suoi attori a briglia sciolta e rende il tutto impassibile, incomprensibile a livello psicologico, irrisolto. Se le due protagoniste se la cavano (e la Bening è in gran forma) in un contesto relazionale, da sole perdono continuamente il controllo della situazione e Ruffalo, appunto, con un ruolo senza carne nè pesce, un pò macho-seduttore, un pò padre-speranzoso, è fuori posto, così come le storie a lui collegate. Meglio Bright, come detto, e Mia Wasikowska, maggiormente immedetesimati nel ruolo e capaci di interagire con tutti i personaggi portanti in modo più profondo, nonostante dei limiti di scrittura per i loro stessi characters. Buona la colonna sonora, con gli MGMT che conquistano sui titoli di coda. Ma il film non decolla, nonostante tutto, e il buon impatto è dovuto più al tema coinvolgente che alla riuscita vera e propria del lungometraggio. Peccato, perchè l'intenzione era veramente notevole.
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