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Connecticut, un sole d’autunno, all’apparenza, illumina i lineamenti chiari delle persone. Luce calda, un matrimonio alle porte. Le ancelle di sari ricamate, vestite. Lilla è il colore, ricami dorati. Si distingue una tonalità: grigio, dimesso, barcollante, maschile. Una donna lo indossa e ride. Ha un occhio pesto e una serie di taglietti, le borse e le occhiaie leggermente opacizzate, capelli puliti ed un viso grazioso. In quel sari multietnico a contatto con la sua pelle bianca bianca, si legge un tratto della sua vita. Il passato sopraggiunge, senza che possa fermarlo. Ed è un cumulo di macerie da ricostruire. Un’auto che sbanda e vola giù da un precipizio, nel lago. Calmanti, sedativi. Rehab, riabilitazione. La Hathaway spicca per capacità di adesione ad un personaggio talmente complesso da risultare difficile da rendere empatico. Eppure il risultato va oltre ogni aspettativa e comporta un’adesione pressocchè totale al carattere. Va detto, che con un regista come Jonathan deem, le cose sono più semplici, ma la Hathaway, dopo anni di commedie tra il carino e il brutto, si riscatta e tende ad entrare nel mondo dei premi con disinvoltura. Ma è l’intero cast ad essere perfetto, con Rosemarie DeWitt, piuttosto ambigua nei sentimenti e Debra Winger, favolosa come al solito. La sceneggiatura del film, tipicamente indie, è scritta dalla figlia di Sydney Lumet, ma la cosa migliore è la regia di demme che sembra travolta dalla propensione del regista al documentario, senza perdere i contatti con la classicità. la musica è di Neil Young.

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