Review - The Social Network





David Fincher è un regista che riesce a nobilitare le storie che racconta. E a creare dei capolavori. Non è la prima volta nella sua gloriosa carriera, e, azzardiamo a dire, non sarà l'ultima. "The Social Network", sulla carta, era il prodotto più difficile da realizzare. La storia, contemporanea, della nascita di Facebook, il nuovo modulatore dei rapporti umani, sulla carta non era altro che un mucchio di nomi, di pratiche legali, di profili in aggiornamento e di status, veri o finti che siano. Fincher racconta la storia di Mark Zuckerberg e dei suoi amici-nemici di avventura, dagli albori, nel primo quinquennio del 2000, quando ad Harvard comincia una progressiva diffusione di esperimenti che sono, in parte, collegati alla genesi del fenomeno mondiale. Fincher, attraverso un'abile costruzione narrativa, ad integrum, segue un itinerario che si snoda in varie fasi, e in cui la ricostruzione avviene dall'esterno. La sceneggiatura-orologeria è a scatti. E il regista propone una visione insieme progressiva, a livello temporale, ma anche con tante tappe intermedie, che, aprendo vortici temporali, si collegano al filo narrativo centrale. Oltre alla forma dell'intreccio, colpisce il contenuto. Una storia del genere è atipica in sè. Fincher riesce a mostrare ogni angolazione, dal lato tipicamente legale per i conflitti derivanti dagli illeciti di Zuckerberg, nei confronti dei suoi finanziatori o amici di vecchio corso, a quello affine all'atmosfera realistica di un college statunitense, in cui droga, alcool, iniziazione alla frat-pack, competizione ed emarginazione si mostrano intatti. Zuckerberg è una sorta di nerd genialoide, e non fa parte dell'elite ricca, popolare (è un concetto che ritorna con costanza), immersa nei festini e nelle opportunità. Il film parte da un dialogo serrato, tra Mark e la sua ragazza, interpretata da Rooney Mara, che porterà alla fine della relazione. Fincher, fin dai primi secondi, mostra una forte compattezza registica, in cui i continui campo-controcampo, rendono bene l'idea di una realisticità della situazione. Tutto il film si regge sulla normalizzazione dei personaggi, che non sono altro che il corrispettivo dei loro amici, e che spiccano per ambizioni marcate. Se Eduardo Saverin, interpretato da Andrew Garfield, è un ragazzo intelligente che cerca la sua opportunità ed è l'unico amico di Mark, il resto dei protagonisti è diviso tra ragazzi amorfi e poco presenti e personaggi di impatto, forti, come Sean Parker, creatore di Napster, affidato a Justin Timberlake. I famosi gemelli Winklevoss sono interpretati dal medesimo attore, un bravo Armie Hammer. La keyword del doppio viene enfatizzata dalle personalità contrastanti dei fratelli, in un modo che risulta molto congeniale all'evolversi della situazione. Il film diventa un avvincente legal con elementi drammatici, significati psicologici (l'ultima sequenza ci mostra il volto complessivo di Mark), elementi sociali. La sceneggiatura, firmata da Aaron Sorkin, permette di non idealizzare, in positivo o negativi, i protagonisti della vicenda, ma fa cogliere le esigenze interiori che motivano le azioni, non dimenticandosi di rimandare qualcosa alle scarne didascalie finali o tacendola del tutto. Funzionale è anche l'aspetto fotografico e soprattutto la scelta della colonna sonora. La magnifica musica di Trent Reznor è l'ingrendiente giusto che, attraverso suoni sinistri armonizzati tra loro, dona un tocco di suspense necessaria, ma senza invadere il film con intramezzi inutili e magniloquenti. L'ultima cosa che mi preme sottolineare è la bravura di Jesse Eisenberg, che nel costruire la figura di Mark Zuckerberg, utilizza una tecnica recitativa poco votata alla spettacolarizzazione e più incline alla complessità interiore, e, di rimando, gestuale.


Il film esce il 12 Novembre 2010.

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