Playlist of the week- 10 Film sul "lavoro"

"I lunedì al sole"




Piccolo film di un regista che riesce a stupire, Fernando León de Aranoa. Il racconto di un gruppo di uomini, licenziati da tempo dal cantiere navale in cui lavoravano, in una città-porto nel nord della Spagna, si riempie di caratteri locali e di sfumature etniche di rara forza visiva e contenutistica. Infatti, Aranoa ha il grande merito di trasformare un soggetto molto british (in relazione ai film successivi all'era Thatcher) in una poesia luminosa e triste di uomini che devono far fronte alla vita, avendo perso molte speranze. "I lunedì al sole" è anche, però, l'immobilismo e la calma, la difficoltà, ma sempre la costante voglia di provare e riuscire. Davanti ad un bicchiere, in un bar, o sotto il sole tenue di un lunedì.


"Tempi Moderni"


Charlie Chaplin alle prese con il fordismo, ovvero con quella tipologia di organizzazione del lavoro che riduceva l'uomo a macchinario insensibile e amorfo, a cui affidare una manualità complessa e costante. Le immagine della prima parte, con le macchine imperanti che compromettono il sistema mentale di Chaplin sono diventate un cult. Ma la storia prosegue e attraversa le manifestazioni lavorative e la prigione, il cantiere navale e l'incontro con una donna bisognosa, fino all'assunzione come cameriere e il leit-motiv "Titina", con le parole scritte sui polsini. E' un film molto articolato, in cui Chaplin, abituato ai tour de force ma con una gestualità molto diversa dalla velocità parossistica di Buster Keaton, raggiunge l'apice della descrizione sociale ed assembla poesia, storia e messaggio, con una visione senza precedenti e onnicomprensiva della situazione mondiale in fieri.


"Il petroliere"


"There will be blood", da noi uscito con il titolo emblematico "Il petroliere" è l'ultimo film diretto da Paul Thomas Anderson ed è un'accurata gigantografia dell'arrivismo, della disumanità, della violenza, rivolta anche verso il proprio figlio acquisito, di un uomo votato esclusivamente alla ricchezza e inscindibile dal petrolio. La crudezza di un personaggio mostruoso è in continuo crescendo e combacia con la negazione dell'umanità e l'omicidio, oltre all'aberrazione religiosa. E' un film di morti, di falsità, di  abbandoni, di perdita dell'udito, narrati con uno stile coinvolgente e quache sperimentalismo autoriale. Interprete è Daniel Day Lewis, forse troppo imponente, mentre bravissimo è Paul Dano. Il film è una sorta di saggio della nascita del capitalismo americano. Prende il via nei primi anni del '900 e conclude l'epopea con la crisi del 1929.



"A corner in wheat"



"A corner in wheat" è uno dei cortometraggi (definzione impropria) più riusciti di Griffith, il padre del cinema. E' del 1909 e il direttore della fotografia è uno straordinario Billy Bitzer. e rappresenta uno dei primi tentativi di "cross-cutting", che sarà la base per il montaggio narrativo sviluppato in seguito con i kolossal dell'autore. Il film affronta il tema della speculazione e mostra in parallelo immagini di difficoltà economica contadina (il grano del titolo) e di grandiosità borghese. E' proprio il montaggio parallelo a determinare la defiznione di capolavoro per il significato che fa ssumere alle singole sequenze. Il finale è drammatico, ma l'ultima sequenza è una sorta di raccordo campestre all'inizio. Griffith, nel film, si mostra un autore socialmente impegnato. Anche se l'elemento pedagogico non è sempre espresso alla luce della nostra visione societaria.

"Tra le nuvole"





"Tra le nuvole" è il film più forte e di impatto del regista Jason Reitman. E', prima di tutto, uno dei primi figli della crisi econominca che, da qualche anno, ha investito buona parte del mondo occidentale. Il lavoro del personaggio interpretato da George Clooney è quello di "spazzino", di "tagliatore di teste". Clooney è colui che deve provvedere ad annunciare il licenziamneto, di persona, agli addetti. Il film, in questo ambito, prende la strada del cinema verità con dei volti realistici e storie profondamente emozionanti, in alcuni casi drammatiche. Oltre a Vera Farmiga, altra donna d'affari, che stringe una relazione con l'uomo, compare una piccola apprendista, Anna Kendrick, destinata a risvegliare un lato, umano, di un uomo condannato a contare i chilometri percorsi su linee aeree, in attesa di un buono. Il film coinvolge lavoratori realmente licenziati e offre uno spaccato interno. Ad un certo punto, compaiono i licenziamenti via web.


"Furore"


E' il film per eccellenza della tradizione americana classica con contenuti più condivisibili, riguardo la caduta e la risalita. Narra la storia di una famiglia che si trova a intrapendere un lungo viaggio di riscossa, dopo la caduta economica del 1929, e che arriva ad integrarsi in una nuova comunità. Dal romanzo, notissimo, di John Steinbeck, vincitore del pulitzer (l'autore vincerà anche il Nobel) è un affresco ottimistico che risente moltissimo della politica del "Nuovo Corso" inaugurata da Roosvelt e ne diviene un manifesto cinematografico di livello, riuscendo a coinvolgere alla regia un John Ford ispirato e più complesso a livello contenutistico. E' considerato, giustam4ente, un capolavoro spartiacque.



"Louise Michel"



"Louise Michel", uscito qualche anno fa in Francia, con la direzione di Benoît Delépine e Gustave de Kervern ha rappresentato il riuscito ritorno alla black-comedy grottesca del cinema europeo, più precisamente francese. E la perdita del lavoro viene salutato da un gruppo di donne forti con rabbia, una rabbia tanto esagerata e prorompente da spingere a sprecare quel poco di liquidazione per eliminare il capo. Viene chiamato un killer di professione, ma, in realtà, a differenza dell'abitudine, è una donna forte a dominare la scena. E' su questo contrappasso si gioca l'intera vicenda, con l'uomo che stenta atrovare la propria mascolinità e la donna che stenta a nasconderla.
Nel cast, Yolande Moreau, per la quale ha vinto il Cèsar come Migliore attrice. 
E' difficile catalogare un realismo storico al film, nonchè non necessario, in quanto l'intento grottesco è generalizzato e assolutamente inutile.


"Tutta la vita davanti"



"Tutta la vita davanti" non è l'unico tentativo di affrontare il tema del lavoro da parte del cinema italiano. Paradossalmente, lo stile grottesco del genietto Virzì aiuta molto il film ad imprimersi facilmente. E la dimensione brillante è taciuta da un senso ovattato di oppressione, che vige dentro e fuori il call-center. I personaggi sono inseriti in un preciso contesto sociale prima che lavorativo: si vedono le immagini del Grande Fratello, si sottolineano storie personali (in particolare emerge il ritratto di una ragazza-madre, interpretato da Micaela Ramazzotti, senza patetismi), si delineano le opporunità lavorative in diminuzione, tanto che lo splendo incipit vede una lanciata Isabella Ragonese presentarsi di fronte alla commissione di laurea in filosofia, e poi la osserva costretta ad entrare nel labile meccanismo lavorativo del call-center, in cui dimora un dirigente anemico e arrivista, affidato a Massimo Ghini, con i suoi diretti tirocinanti costretti a far assicurare famigliari per il profitto e soggetti ad un lavoro psicologico di impatto, scientifico, su un modello d'assalto (in questo frangente la scelta narrativa di un protagonista rappresentativo ricade su Elio Germano) e alla dipendenze di una donna ambigua e disturbata, Sabrina Ferilli, tenuta in vita solo dall'amore per il proprietario di cui è amante. L'analisi, in taluni punti realmente realistica, riguarda un fenomeno tipico del nostro sistema di vendita, in cui conta l'apparenza e la capacità di utilizzare tecniche comunicative che colpiscano direttamente una certa fascia di soggetti. Le ragazze del call-center sono spinte da un'antagonismo senza limite, sull'orlo del licenziamento, con tipologie di contratto piuttosto difficili da considerare accettabili, e circondate da un mondo di mezze verità e spettacoli televisivi che assomigliano a vite reali, ma non lo sono affatto.




"A tempo pieno"


"A tempo pieno" è il film che ha consacrato uno dei registi più ammirati del panorama europeo, Laurent Cantet. Lo stile del regista, piuttosto incline al documentario, per la descrizione di ambienti realistici, sfrutta la bravura di un altro cavallo di razza del cinema d'oltralpe, Aurélien Recoing, in grado di forzare e sovrapporre i generi. Premiato a Venezia, il film narra di un uomo con difficoltà economiche, spinto dal licenziamento alla menzogna verso la propria famiglia. L'abilità del regista sta nella capacità di sfumare il personaggio che sembra prendere una strada di identificazione reale con l'immagine che vuole dare di sè a casa. E' un film di solitudine e difficoltà. E dal finale tipicamente "alla francese"


"Mobbing-Mi piace lavorare"



"Mobbing-Mi piace lavorare" è forse uno dei film italiani più sottovalutati degli ultimi anni. La regista, Francesca Comencini, ha l'abilità di unire compostezza femminile a cura del dettaglio psicologco. il film risulta un atto d'accusa non eclatante o concitato, ma una piccola storia, parallela ad altre, di ingiustizia sociale e limitazione umana. Il personaggio, interpretato da una brava nicoletta Braschi, vive una sofferenza psicologica di rifiuto in un ambiente che è completamente privo di vicinanza, asettico, ptrevaricatore, idolatore della donna-oggetto, senza minima attenzione alla complessità delle dinamiche famigliari. Un mondo in cui ognuno volta le spalle all'altro, di pavimenti lucidi e colori senz'anima. Il film, del 2003, è un lavoro dalla parte del lavoratore, nel momento in cui la sostituzione burocratica in base a meriti non precisi ha trovato, in quegli anni, la sua istituzionalizzazione. Un racconto sofferto di vessazioni e soprusi che diventano malattia e abbandono psicofisico.



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