Lebanon


Vinse il Leone d'Oro a Venezia un anno fa con merito. "Lebanon" è il claustrofobico gioco della guerra assurda, il carrarmato senza scampo, il campo di girasoli illusionistico, il disperato senso del nulla e della morte, la paura. Non ha un valore storico (pur riferendosi alla guerra del Libano del 1982) ma è un pò la volontà di guardare la guerra dal mirino, dall'occhio di chi la vive e ne è responsabile e vittima anch'egli, quello stesso occhio che ci porta ad inquadrare da vicino, anche se con molte riserve, un mondo pazzo e violento, come se le immagini ci arrivassero con impeto nuovo. E' proprio l'occhio del carrarmato, così come l'apertura superiore, a garantire la visione e il contatto con il mondo esterno. L'occhio è il mirino della morte, l'apertura il luogo che salva, il campo di girasoli, l'uscita dalla guerra. Ma quest'ultima è anche la chiusura al mondo, il limite umano imposto a chi fa guerra, lo sporco e il marcio, il sangue e la paura. E il regista, Samuel Moaz, ci immerge nel mondo di questo "sottomarino" terrestre in cui si intrecciano le storie di soldati (emozionanti e ben scritte) con le storie di nemici, di innocenti, di soprusi, di perdite. Un'ora e mezza senza scampo e senza fuga, in cui la guerra emerge nella sua dimensione psicologica e solca i visi (anche interiori) di chi è costretto a viverla.

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