"In nome del padre" di Jim Sheridan stasera alle 21,00 su Axn




Irlanda del Nord, inizio anni ’70,l’hyppismo (Sex, Drugs and Rock n’Roll) dilagava nel mondo, anche se
sporca di fuliggine e scurita da fumogeni era Belfast, con l’Ira combattente che non accettava di esser Serva.
C’era una rabbia degli Irlandesi verso gli Inglesi, e a Guilford scoppiò l’ennesima bomba. Gerry Conlon era poco più che un ladruncolo, ma da quel rimbombo esplosivo, la sua vita cambiò, e la punizione per un “fottuto” Irish Man, era la cosa che la gente, l’opinione pubblica, il Governo si aspettava. “Il nostro compito è
arrestare le bombe, non l’attentatore”, e sevizie da far paura, senza difesa, con capi d’accusa assurdi ma l’occhio vitreo di un superiore accondiscendente. E con Gerry era stata imprigionata la sua famiglia, con i
guanti misteriosamente positivi alla nitroglicerina. “Perché la verità era sulle loro mani”.
E con lui, nella stessa cella, il padre, Giuseppe, dal nome del gelataio italiano della strada in
cui era nato. L'antefatto è nobilissimo, il film diventa un pamphlet giudiziario e un manifesto politico. Ma non perde di avere dei momenti cinematografici alti, come quando una serie di piccole fiamme scende dal cielo. E' l'ingiustizia ad essere dilaniata, anche se non paga. Il film è anche un lungo affresco realista, legato ad un'ottica carceraria classica e con un contraddittorio da tribunale che sfiora l'eloquenza (e la Thompson è molto brava nel ruolo di oratrice). Jim Sheridan ha il vizio di eccedere nel patetismo, a volte, ma qui mostra asciutezza maggiore, anche se cadute di stile permangono. C'è Daniel Day-Lewis mattatore invadente (degli spazi altrui), per quanto bravo, mentre più complesso e riuscito il personaggio di Pete Postlethwaite. La colonna sonora è perfetta sintesi di militantismo e gradevolezza, con nomi della tradizione irish, da Bono a Sinead O'Connor.

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