Capolavori-"Quarto potere" Analisi del Personaggio Charles Kane alle 18,10 su studio universal



Charles Foster Kane è immutabile. Propendi dalla sua bocca, dalla sua favella. Ama essere amato. Vive per l’essere amato. Crede che il suo essere meriti un cuore che batte, una sollecitudine, una menzione. Non solo in chi gli è affianco, ma anche in chi non ne ha che sentito parlare. Si erge su un tavolo, dai piedi altissimi e dalla superficie ampia quanto migliaia di ettari. Si muove, nei diversi momenti della Stagione, come un invasato, mai addomesticato, corre e rallenta. Il tavolo è fatto di un certo tipo di cristallo, particolare, trovato dopo una lunga ricerca sulla montagna eretta dove dimora. Kabla Kahn, nello Xanadu, il nome del maestoso palazzo, di fontane e statue adornate, epigono di un certo scritto, lassù, dove il fiume scrosciante penetra nella caverna e perde la sua pienezza nell’estuario in una piscina immensa, acqua che muove la sua freschezza all’infinito. Quel tipo di cristallo permette la vista al solo interessato che cammina sul mondo, mentre coloro che non fanno parte della sua entità, da amici, si trasformano in rabbiosi esseri soggetti alla luce che il grande Kane fa penetrare sotto quel tavolo. Charlie si concepisce come un uomo senza limiti, superiore, pretende dagli altri ciò che non dà, se non in una misura economica, ma toglie, quando il libero pensiero spunta, anche a chi gli è stato accanto. In lui c’è tutta la tragicità dell’essere umano. Un uomo che cerca il potere, prova a gestire gli altri, non vedo l’altro se non come suo riflesso, sua riuscita o suo punto perso. Non ama perdere. La vittoria è l’unica garanzia che gli fa credere di essere vivo, di essere in grado, di essere onnipotente. Un certo delirio di supremazia affoga il suo cuore, in realtà, dedito alla filantropia. Le parole, l’esteriorità non combaciano con la sua coscienza interiore. Ha dei difetti, Charlie, dell’uomo comune. Ma in lui non alberga la vicinanza alla mentalità di un uomo modesto. Forse, la grande fortuna che ha ricevuto in eredità, figlio di una famiglia povera e costretto ad abbandonare la cara madre, è per lui una sorta di unzione di Grazia. Forse, la sua esorbitante personalità, però, non contempla che qualcuno gli abbia potuto donare qualcosa. Egli è il grande donatore, colui che porta alla resurrezione un piccolo giornale, a New York, l’Inquirer. Quello che ottiene, lo perde, quello che ama, si crede adulatore e non corrisposto. Raggiunge i più alti picchi, uno scandalo impedisce che l’uomo si ponga come il monarca assoluto, come quei monarchi delle prime carte costituzionali, che accordavano di cedere dei diritti, che, solo, in seguito, saranno considerati inviolabili e peculiarità di ogni individuo. Crede in ciò che crede e non ammette la possibilità dello sbaglio. Non ama il pettegolezzo, è come coloro che rifuggono alla doppia medaglia della fama…Solo il meglio, mai il peggio. Qualora si mostri un lato ritenuto erroneo, conviene smentirlo con la forza delle azioni. Kane non è sé stesso. Non siamo noi a pendere dalle sue labbra. E’ lui che pende dalle nostre. Nell’ultima parola della sua vita, “Rosabella”, si cerca di trovare la sua vera condizione, la sua personalità. Anche noi che ci illudiamo di poter scrivere in poche righe e disquisire su un uomo, non possiamo che renderci conto quanto siano limitate le memorie, i giudizi, le opinioni. La storia è un fatto derivante da atti. La storia guarda all’evento in sé, non all’intenzione. Si può tratteggiare un ritratto, ma i moti dell’anima sfuggono anche a noi stessi. Tanto più a chi è chiamato a descrivere i nostri. Kane è un po’ l’egoismo, ma è anche la libertà di giudizio, è il grande Gigante, ma anche il piccolo Perdente. Orson Welles ci regala il vero capolavoro del cinema moderno, ma non solo per l’articolazione narrativa con un montaggio sapiente e perfetto, facendo del cinema un “cogito” che innalza la scrittura narrativa, alla capacità descrittiva, all’intenzione filosofica, alla contestualizzazione sociale. La sua modernità, al dì la di un punto di vista tecnico, sta nella rappresentazione visiva 8e perciò realistica) di un uomo come noi, o meglio di un uomo che ha portato all’eccesso i nostri stessi elementi essenziali. Welles manca di un giudizio di valore, preferisce mostrare la disgregazione della ricchezza e la solitudine senza scampo come prerogativa umana, qualora si segua l’unica strada del potere. Se Golia era un gigante, Davide era un uomo. E Kane è un gigante troppo piccolo per essere tale, un uomo troppo grande per essere tale. La macchina da presa capisce che è meglio tenersi lontani, e dopo aver visto bruciare le parole nel fuoco delle cianfrusaglie somiglianti ai grattacieli di un palazzo, decide di ritornare indietro e raffigurare un mondo dall'alto, in modo uguale e contrario all'incipit del film, senza possibilità di comprensione. Il film è un racconto coerente che mostra come la conoscenza sia la sete umana più forte, ma anche il limite innegabile.

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