Non è un paese per vecchi


Arido, infecondo, privo della gioia del ringiovanimento e del rinnovamento di una natura quasi vogliosa di esternare la sua essenza benefica e lussureggiante, brulla distesa desertica immobilizzata da un sole cocente in grumi di terra dura. Il paesaggio, borderline tra Texas del sud e Rio Grande, scava così nel profondo la realtà umana, da divenirne specchio sparuto e autoriflettente, così tragico da frantumarsi esso stesso per l’amoralità di una violenza raggelante e per il tetro e rumoroso scoppiettio di uno strano aggeggio “per l’enfisema”, compressore “smascherato” che spara secco e colpisce con la precisione del mirino puntato addosso, di un killer che ragiona nella logica psicopatica della legge ferrea della morte, innestando un lascito mortuario, una mattanza, che, a numeri, sembra superare i confini da divertissement imposti nell’ironico barlume del trapasso e della vendetta e sublima la più atroce, grande, carrozza della death in un discorso fatalista, giocando sul lancio della monetina chiamata, che può recidere le redini di una vita o salvarla in extremis (al sopravvissuto:”Mettila ovunque, ma non in tasca, mescolata con le altre; è la tua moneta fortunata”, la moneta a cui devi tutto e che ti ha lasciato la vita). I Coen, disegnando il personaggio di Chigurh seguono una poetica che immortala il loro primario bisogno di creare characters bruti che possano innescare un meccanismo di umorismo quasi condivisibile dallo spettatore, non per la condivisione dell’azione, ma per il gusto, già approfondito in “Fargo”, di accompagnare ad una monumentale corsa alla violenza, l’ambiguità, l’ottusità, la goffaggine di un uomo all’apparenza indifeso ma dagli occhi grondanti sangue e dallo spirito follemente indirizzato a cogliere della vita quanta più morte è possibile, con noncuranza, e senza un perché fondato. Javier Bardem, il killer più maestoso della recente e trascorsa cinematografia, con un’interpretazione grandiosa, rappresenta la vacuità e l’inutilità di una violenza, che non ha ragione. Per questo, il suo contraltare, è lo sceriffo, le cui massime, filosofiche, disseminate con discrezione, rispetto al testo di Corman McCarthy da cui è fedelmente tratto, sono la verbosa manifestazione, dal volto grinzoso di Tommy Lee Jones, reduce della seconda guerra mondiale, di un mondo di valori andati a vuoto, che non esiste più o, più proficuamente, non è mai esistito, nonostante i casi di cronaca calati nell’ora, siano più legati ad una percezione della brutalità umana, che si fa perniciosa e funerea, bestiale, e non potendo un solo guizzo di saggezza salvare una condizione destinata ad aggravarsi: "Quello che vedi non è nulla di nuovo”,”Non puoi fermare quello che accade”e il verso di Yeats “Non è un paese per vecchi”. Sullo sfondo, lo sviluppo dell’intreccio, con una sparatoria tra messicani, una somma di denaro ingente, e la fuga senza fuga di Llewelyn Moss, reduce del Vietman (un ruspante e rilanciato Josh Brolin), di una preda destinata al sacrificio, che tenta di scampare alla violenza, ma non può combatterla, e dopo tante speranze di salvezza cade sotto le mani del killer, suo alter-ego, compromettendo l’indiretta morte della giovane moglie. Dalla “screwball-comedy”, dove non hanno eccelso ma hanno interessato, un gradito ritorno dei Coen ad una forma nichilista di riflessione sulla vita, disperata, fatalista, umoristica, cinematograficamente eccelsa. Da Oscar. E’ così fu.

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