Cuori
Resnais, dall’alto della sua esperienza, modella i suoi personaggi. In “Cuori”, nulla è così intenso da lasciare segni sulla pelle, nulla è così deflagrante da comporre un quadro umano di drammaticità, nulla è così lieve da scivolare con la rapidità dell’acqua che scende e si posa, immobile, nel letto di un fiume, nulla è così dolce da gustare una pralina in bocca, denti taglienti. In “Cuori”, non manca l’intensità, ma essa si incanala nell’ottica della narrazione e ha qualche guizzo solo interpretativo, non manca lo scoppiettio, anzi vivido, nella definizione grottesca di una donna devota chiamata, in tutto, a cercare di sedare il vecchio che cura, l’atmosfera è così lieve che, nonostante la forza di certi eventi, sembra quasi impassibile, da spettatore, e anche da protagonista, al loro verificarsi; la dolcezza del ricongiungimento e della pacificazione è più un’accettazione dei limiti che un traguardo nuovo.“Cuori” monta storie che si accavallano, per pura esigenza di coralità, ma non sono intessute da un legame diretto. Ciò rende lo spettatore in grado di avere una prospettiva totalizzante, andando, poi, a soffermarsi sulle storie che definiscono dei veri quadretti, a sé stanti, ma inglobati in un’unica ottica. E' forse un film poco parigino, molto francese. Questa prospettiva si coglie appieno, giacchè la città romantica, per eccellenza, non diviene fotografia da cartolina, gli interni dominano sugli esterni, segno di una dimensione particolare. Quest’aspetto, di per sé, dà una caratura al film molto più intrigante, quasi teatrale. Si pensi alla raffigurazione della stanza da letto del vecchio malato. Diventa un richiamo impossibile da non recepire. E’ un film francese, in quanto non tradisce la sua natura di artefatto, anzi in talune circostanze la accentua. E’ un’opera di finzione e non aspira a rendere l’idea di una realtà vera. Come al solito, l’ampiezza sentimentale non è relegata ad un linguaggio espresso chiaramente, molto è sotto luce, immerso nella terra di sé stessi, non esplicitato dalla macchina da presa. “Cuori” è anche un film di sceneggiatura, che raggiunge una certa coerenza tra necessità di colpire il pubblico senza tramortirlo e ritratto d’autore, tra ingegno e comprensibilità semplicistica del testo di base, non certo degli aspetti più secondari e sfaccettati. Resnais crea con cura degli esseri mutevoli, di mutevoli emozioni, in mutevoli situazioni. Ed è molto forte la scrittura dei personaggi, indipendentemente dal groviglio delle loro storie. Un lui e una lei, in vicissitudini e i contrasti tra ciò che è meglio per il singolo e per la coppia, desideri inappagati , routine, dissidi. La psicologia, in questo caso, è marcata, fin troppo, e l’unico carattere non molto riuscito, è quello interpretato da Laura Morante, non per le capacità attoriali, ma per la quasi stucchevole pratica analitica che diventa l'unico suo tratto. In'altra ottica, è un collante necessario per una spiegazione razionale di un livello emotivo. Il personaggio più intricato è quello della donna devota che, avrebbe, secondo una personale interpretazione, una natura ambigua, anche se a colpire è la positività del suo essere, la sua serenità. Così come colpisce l’atteggiamento doppio del barista dell’albergo. Non c’è un amore vero e proprio verso i personaggi, né un’identificazione. “Cuori” è una pagina bianca con dei disegni, dei temi, delle verbosità, delle precise inquadrature ed angolazioni. Un film omologante con l’anticonformismo.
Gli Amori Folli
Resnais mi aveva deluso, stavolta. Non avevo tollerato il tono del suo ultimo film, tanto che le mie pupille si erano più volte addormentate. Non l'avevo mai finito, come quei libri che non ti appassionano e lasci come ultima opportunità all'ozio, che concili il sonno. E così ho rivisto "Gli amori folli" non una volta, ma svariate. E non sono mai riuscito a finirlo. In realtà, ad un certo punto, ho avuto la curiosità di andare avanti e ce l'ho fatta. Mi ha spinto la capacità tecnica del regista, con inquadrature che sono pezzi d'arte in movimento. Paradossalmente, la movibilità della macchina da presa è molto più complessa che in "Cuori". Prima di tuttp perchè offre uno squarcio mai banale, in continuo raccordo tra le esigenze del personaggio, a cui è assicurata una mobilità maggiore che nel film precedente, quelle dello spettatore, che inquadra, con continui cambiamenti di campo, percezioni specifiche e le condensa come assolute, quelle del regista che si lancia in digressioni paesaggistiche di raccordo che sanciscono la capacità di aprire e chiudere il racconto in modo magistrale, e ne sottolineano l'assoluto controllo della direzione della narrazione, sebbene essa si muova, in apparenza, secondo le direttrici "folli" dei personaggi in voice-off. Per questo, Resnais, nonostante l'età, ha una cura del dettaglio e una capacità di analisi insuperabile. E' una sorta di poeta fisico/metafisico, è una sorta di "sopravvisuuto" alla Nouvelle Vaugue, tanto lontano da essa, quanto vicino alla favola senza fine delle sue atmosfere. Il film,ad un certo punto, ha cominciato ad acquisire uno spessore molto superiore al precedente. E' diventato un saggio psicologico sulla forza emotiva e ha cercato di rendere l'idea della complessità dell'amore nelle sue varie componenti. Piuttosto che seguire la componente narrativa, Resnais ha scritto un saggio argomentato di psicologia e ne ha creato una visione poetica e cinematografica di grande spessore. Ha dato vigore ai "suoi amori folli" con dei personaggi, alter-Ego dell'umanità, e li ha inseriti nel sogno/incubo della nevrosi umana. Ma Resnais non è un medico, ed è vittima egli stesso dell'amore senza senno.
Resnais, dall’alto della sua esperienza, modella i suoi personaggi. In “Cuori”, nulla è così intenso da lasciare segni sulla pelle, nulla è così deflagrante da comporre un quadro umano di drammaticità, nulla è così lieve da scivolare con la rapidità dell’acqua che scende e si posa, immobile, nel letto di un fiume, nulla è così dolce da gustare una pralina in bocca, denti taglienti. In “Cuori”, non manca l’intensità, ma essa si incanala nell’ottica della narrazione e ha qualche guizzo solo interpretativo, non manca lo scoppiettio, anzi vivido, nella definizione grottesca di una donna devota chiamata, in tutto, a cercare di sedare il vecchio che cura, l’atmosfera è così lieve che, nonostante la forza di certi eventi, sembra quasi impassibile, da spettatore, e anche da protagonista, al loro verificarsi; la dolcezza del ricongiungimento e della pacificazione è più un’accettazione dei limiti che un traguardo nuovo.“Cuori” monta storie che si accavallano, per pura esigenza di coralità, ma non sono intessute da un legame diretto. Ciò rende lo spettatore in grado di avere una prospettiva totalizzante, andando, poi, a soffermarsi sulle storie che definiscono dei veri quadretti, a sé stanti, ma inglobati in un’unica ottica. E' forse un film poco parigino, molto francese. Questa prospettiva si coglie appieno, giacchè la città romantica, per eccellenza, non diviene fotografia da cartolina, gli interni dominano sugli esterni, segno di una dimensione particolare. Quest’aspetto, di per sé, dà una caratura al film molto più intrigante, quasi teatrale. Si pensi alla raffigurazione della stanza da letto del vecchio malato. Diventa un richiamo impossibile da non recepire. E’ un film francese, in quanto non tradisce la sua natura di artefatto, anzi in talune circostanze la accentua. E’ un’opera di finzione e non aspira a rendere l’idea di una realtà vera. Come al solito, l’ampiezza sentimentale non è relegata ad un linguaggio espresso chiaramente, molto è sotto luce, immerso nella terra di sé stessi, non esplicitato dalla macchina da presa. “Cuori” è anche un film di sceneggiatura, che raggiunge una certa coerenza tra necessità di colpire il pubblico senza tramortirlo e ritratto d’autore, tra ingegno e comprensibilità semplicistica del testo di base, non certo degli aspetti più secondari e sfaccettati. Resnais crea con cura degli esseri mutevoli, di mutevoli emozioni, in mutevoli situazioni. Ed è molto forte la scrittura dei personaggi, indipendentemente dal groviglio delle loro storie. Un lui e una lei, in vicissitudini e i contrasti tra ciò che è meglio per il singolo e per la coppia, desideri inappagati , routine, dissidi. La psicologia, in questo caso, è marcata, fin troppo, e l’unico carattere non molto riuscito, è quello interpretato da Laura Morante, non per le capacità attoriali, ma per la quasi stucchevole pratica analitica che diventa l'unico suo tratto. In'altra ottica, è un collante necessario per una spiegazione razionale di un livello emotivo. Il personaggio più intricato è quello della donna devota che, avrebbe, secondo una personale interpretazione, una natura ambigua, anche se a colpire è la positività del suo essere, la sua serenità. Così come colpisce l’atteggiamento doppio del barista dell’albergo. Non c’è un amore vero e proprio verso i personaggi, né un’identificazione. “Cuori” è una pagina bianca con dei disegni, dei temi, delle verbosità, delle precise inquadrature ed angolazioni. Un film omologante con l’anticonformismo.
Gli Amori Folli
Resnais mi aveva deluso, stavolta. Non avevo tollerato il tono del suo ultimo film, tanto che le mie pupille si erano più volte addormentate. Non l'avevo mai finito, come quei libri che non ti appassionano e lasci come ultima opportunità all'ozio, che concili il sonno. E così ho rivisto "Gli amori folli" non una volta, ma svariate. E non sono mai riuscito a finirlo. In realtà, ad un certo punto, ho avuto la curiosità di andare avanti e ce l'ho fatta. Mi ha spinto la capacità tecnica del regista, con inquadrature che sono pezzi d'arte in movimento. Paradossalmente, la movibilità della macchina da presa è molto più complessa che in "Cuori". Prima di tuttp perchè offre uno squarcio mai banale, in continuo raccordo tra le esigenze del personaggio, a cui è assicurata una mobilità maggiore che nel film precedente, quelle dello spettatore, che inquadra, con continui cambiamenti di campo, percezioni specifiche e le condensa come assolute, quelle del regista che si lancia in digressioni paesaggistiche di raccordo che sanciscono la capacità di aprire e chiudere il racconto in modo magistrale, e ne sottolineano l'assoluto controllo della direzione della narrazione, sebbene essa si muova, in apparenza, secondo le direttrici "folli" dei personaggi in voice-off. Per questo, Resnais, nonostante l'età, ha una cura del dettaglio e una capacità di analisi insuperabile. E' una sorta di poeta fisico/metafisico, è una sorta di "sopravvisuuto" alla Nouvelle Vaugue, tanto lontano da essa, quanto vicino alla favola senza fine delle sue atmosfere. Il film,ad un certo punto, ha cominciato ad acquisire uno spessore molto superiore al precedente. E' diventato un saggio psicologico sulla forza emotiva e ha cercato di rendere l'idea della complessità dell'amore nelle sue varie componenti. Piuttosto che seguire la componente narrativa, Resnais ha scritto un saggio argomentato di psicologia e ne ha creato una visione poetica e cinematografica di grande spessore. Ha dato vigore ai "suoi amori folli" con dei personaggi, alter-Ego dell'umanità, e li ha inseriti nel sogno/incubo della nevrosi umana. Ma Resnais non è un medico, ed è vittima egli stesso dell'amore senza senno.
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