Letters to Juliet





Non è che da un film del genere ci si aspetti la luna. Tantomeno le stelle. Eppure ""Letters to Juliet" è una delusione, smorzata solo dalla leggerezza. Gary Winick, il regista che tenta di seguire le orme del suo omonimo Garry Marsall, non è uno sprovveduto e il film è una tipica commedia-rosa che scimmiotta gli anni '90, ma senza le assurdità di Julia Roberts. Quando si parla di "Chick-flick", film per ragazzine, questo titolo calza a pennello, anche se ha un tono classico e per nulla sboccato. La cosa che non manca mai, oltre ad una certa fluidità, garantita anche dal cambiamento continuo di locations, in un "on the road" verso l'amore, il passato e la felicità,è l'eleganza. Amanda Seyfried è, come al solito, una reginetta di bellezza, Vanessa Redgrave incontra il suo Franco Nero ed entrambi sono bellissimi, Gael Garcia Bernal è perfetto, Christopher Egan è troppo country ma anche smilzo per essere un degno contendente. E non ci sono battute fuori tono, doppi sensi. Peccato che siano sostituiti da momenti che sfiorano il ridicolo. In particolare la ricerca dell'amor perduto, Lorenzo Bartolini, è così naif e stereotipata che viene da piangere, pensando quale sia il ruolo attribuito agli Italiani nell'ottica internazionale. Il film, spot turistico di Verona per tutte le Giuliette del mondo, e dell'Italia da cartolina, diventa una parodia del nostro mondo, uno stereotipo eclatante, patinato e limitante (per non dire del tutto falso). Nella soundtrack, oltre a Taylor Swift, che accompagna il finale, un misto di brani italiani da "Quando Quando Quando" scritta da Tony Renis a Max Pezzali a Malika Ayane. E si supera la soglia della sopportazione.

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