Sofia Coppola, la regista delle differenze generazionali



Sofia, figlia di Francis, ha assaporato l'atmosfera cinematografica dall'infanzia. E ha optato per la regia. E' stata la seconda regista donna ad essere nominata nella categoria specifica agli Oscar, e aspira a diventare la seconda regista donna a vincere il premio, dopo l'exploit della Bigelow. Chi vi scrive, ha amato tutte le sue opere. Ma cosa hanno in comune le sue pellicole? In primo luogo, non sono frutto di una medesima adesione ad una singola matrice temporale. Il che è normale ad ampio raggio, ma diventa piuttosto difficile da comprendere per un'esordiente che ambienta i suoi film in tre diverse fasi storiche. Se "Il giardino delle vergini suicide" è un colpo al cuore della tradizione americana anni'60, "Lost in traslation" è affidato all'ultramodernità del Giappone e alla tecnica e "Marie Antoinette" parte dalla fine del 1700 ma riesce a far si che quel periodo risulti pari o più moderno di oggi. La capacità di Sofia di bypassare l'ordine temporale non è cosa da poco. E così quando "Somewhere", presentato a Venezia, sembra avere una precisa contestualizzazione,va detto in partenza, che si tratta di una sorta di diario personale che guarda al passato autobiografico della regista.I livelli temporali si intrecciano, continuamente. Il cinema è forma mentis che si oggettivizza in forma artistica. Se parliamo di tempo, parliamo di generazioni. E, nei film di Sofia, il conflitto è relazionale, ad ampie differenze d'età. "Il giardino delle vergini suicide" è un atto d'accusa alla tradizione passatista che priva di spontaneità e di piacere le donne. L'antidoto che garantirà la liberazione sarà la Rivoluzione Sessuale. E così è lo scontro genitori-figli alla base del film. Scontro che assume le sembianze di una tragedia greca. Kristin Dunst, attrice feticcio della Coppola, è perfetta nell'interpretare l'adolescente turbata. Ed è un pò il simbolo dello stile della Coppola, con l'atteggiamento ribelle che si unisce a tratti fisicamente americani e rurali. In "Lost in Traslation", l'incontro non si tramuta in uno scontro tra la neosposa Scarlett Johansson e il veterano Bill Murray ma non è nemmeno un incontro certo, forse è un abbandono, forse è un arrivederci, forse un addio definitivo. La storia d'amore è vittima dei limiti autoimposti e imposti ed è soprattutto, in maniera poco percettibile, affidata alla "non-scelta" dei personaggi. Infine "Marie Antoinette" è il ritratto lucido di una fanciulla che, suo malgrado, è costretta a pagare delle colpe di donna che non ha. Pur essendo giovane, rappresenta il vecchio, L'Ancien Regime, ed è travolta dalla furia, giovane, rivoluzionaria. I giovani e i vecchi, le generazioni, il tempo sono alla base dello scontro che porta alla sconfitta. Non un dramma opprimente, ma nemmeno qualcosa di cui gioire. Lieve e tagliente, Sofia Coppola è una delle poche registe che, con i relativi errori, avrà per anni qualcosa da dire al mondo, artistico e non. E, con tutti i dubbi, "Somewhere" è comunque un prodotto necessario.

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