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Ricatto d’amore



Anne Fletcher è soft. La saga di “Step Up” si distingue per la grande abilità acrobatica e tecnica, come se la regista permeasse di movimento coreografico l’intera disposizione della scena, acquisito di certo dai suoi trascorsi di ballerina e insegnante, “27 volte in bianco”, nelle sue tante imperfezioni, consolidava Katherine Heighl, già ora sul viale del tramonto, e si proponeva come storia femminile, sull’onda matrimonialista, divertente, e caso raro, misurata. Il grande salto avviene in coincidenza con un altro “wedding film”, “Ricatto d’amore”. E il registro si evolve in termini di sceneggiatura. Creata come una commedia sull’amore, si apre a tante strade, partendo da vecchi canovacci e aggiornandoli alla nostra quotidianità. In primis, lo scontro tra i sessi viene ribaltato, con la donna editor in cerca del successo commerciale di libri, e l’uomo mezza calzetta voglioso di promozione, da tempo brutalmente sfruttato, quasi schiavizzato dalla sua caporedattrice. I primi minuti sono un “cheek-to-cheek” ferreo, con le guance sode di lei che spingono verso il basso la faccia da latte di lui. Il film ha un tocco slapstick non indifferente nella prima parte, con i tratti deliziosi della Bullock che si irrigidiscono, senza essere mai astiosi, nella tirannica impresa di soggiogare i suoi dipendenti, e l’inettitudine senza parole di lui, un Ryan Reynolds coi fiocchi, molto vicino ai re della commedia anni ’30 e ’40. La commedia ha, in certi punti, la grazia di Wilder, in altri, per esempio nella scena di nudo comico, qualche riflesso dei film anni ‘80 e ’90, partendo da “Harry, ti presento Sally” e sfiorando, solo sfiorando è bene tenerlo a mente, qualche aspetto grossolano della commedia inglese. La vivacità di alcuni momenti è limitata da certi personaggi che sembrano stati introdotti un po’ per caso, ricalcando un po’ qualche prospettiva surreale (il segugio matrimonialista che è un centro investigativo in persona), o cercando un momento, nell’intreccio, di confronto meno comico e più complesso, con risultati discutibili (il rapporto con il padre). Alcune scene sono eccessive, ma è proprio da questa caratteristica, coadiuvata dallo slapstick, che deriva, grazie alla corretta costruzione di una sceneggiatura che ha momenti folgoranti, una dimensione pseudodemenziale molto nuova per un film Disney e altrettanto giovanile e, al contrario di altri prodotti, sbandierata senza problematiche morali e in correlazione con il tono dell’intera pellicola. Il canovaccio è chiaro e prende spunto da tanti titoli, per esempio, “Green Card- Matrimonio di convenienza” del bravo Peter Weir: lei “allergica all’intera gamma delle relazioni umane”, dinamica lavoratrice senza uomini e grilli per la testa, detestata e temuta (con le minichat che ne annunciano l’arrivo e gli spostamenti), lui, uomo di famiglia ricca, proveniente dall’Alaska, che cerca una propria realizzazione in un settore, quello editoriale, difficile quanto incerto. Mettiamo che lei abbia bisogno di lui, per non essere estradata, e che lui voglia una promozione e allora “il matrimonio è una questione …di affari”. La gamma attoriale è ben amalgamata, con molti picchi, in primis Nonna Annie, la arzilla caratterista Betty White. I problemi di “Ricatto d’amore” si localizzano spesso nei suoi pregi, come se fossero elementi da una parte necessari alla comicità, dall’altra eccedenti. Consigliato alle coppie, a chi vuole passare una serata diversa, scoppiettante di risate, con qualche sentimentalismo non melenso, a chi vive il cinema come voglia di evadere. E’ un film di difficoltosa valutazione, per i suoi intenti, per le sue caratteristiche (anche il lavoro di post-produzione non è eccelso), ma molto simpatico, quasi un antidepressivo.

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