Chloè: Tra seduzione e Inganno



Chloè, remake dell'omonimo della Fontaine, da poco tempo a noleggio, è un film irrisolto e poco equilibrato. Perchè un regista di talento come Atom Egoyan sta perdendo tempo a rincorrere una fama che, per costituzione stilistica, non è in grado di raggiungere? L'estetismo di Egoyan arriva ad essere finto quando si esprime unicamente nella direzione voyeuristica. E questo film e' pura morbosità. In questo senso, va detto, il film è perfetto. Se voleva essere scabroso, non ci riesce, ma se voleva essere morboso, o meglio, galvanizzatore di morbosità, il suo scopo è raggiunto in pieno. Anche perchè l'eleganza formale tende ad attutire i caratteri troppo "scabrosi" e il film diventa uno sguardo sulla fisionomia dei rapporti, nella loro accezione fisica, in primo luogo. E' una continua reiterazione della molla sessuale, unica spirale che attraversa tutto e tutti, senza sosta. La gelosia diventa tradimento, il guadagno diventa amore, la lontananza diventa bugia, la bugia diventa bugia a sua volta, il figlio diventa l'amante dell'amante, giovanissima, della madre. Una sorta di Beautiful contemporaneo, con annesso di scene osè, ben montato e diretto, ma sicuramente troppo semplicistico e diretto a solleticare l'attenzione più per le immagini sessuali che per la storia in sè. In particolare, senza il ricorso al lesbismo, il film non avrebbe rappresentato nulla di particolarmente accattivante. E proprio le due attrici, Julianne Moore e Amanda Seyfried, salvano il film con due interpretazioni perfette, molto forti e complesse. La loro bellezza conturbante, non fine a sè stessa, ma a volte accentuata, avolte sfibrata, si accompagna ad una solidità emotiva prima che interpretativa. Ed è proprio il cast, che include Liam Neeson, a trasformare una pellicola di basso profilo in un un film poco originale ma compatto, sotto l'egida di un regista fuori luogo ma capace di dirigere gli attori a livelli altissimi. E "Chloè" è artefatto quanto la sua forma, statico e prevedibile quanto la sua sceneggiatura, ma soprattutto vibrante ed emotivo per le sue interpretazioni.


La Moore non è nuova al lesbismo. Ricordiamo "The kids are all right", presentato con successo a Berlino, distribuito da Focus Feautes e molto amato dalla critica americana, da poco nelle sale. Il film, uscito in poche copie, potrebbe essere l'outsider dell'estate e sta registrando delle medie invidiabili. La storia è quella di due madri lesbiche, che si trovano ad avere un contatto forzato con il padre biologico dei due figli. Non è un dramma vero e proprio, ma un film tenero e colloquiale. Dirige Lisa Cholodenko, autrice di serie tv. Nel cast, oltre alla Moore, Annette Bening, nel ruolo dell'altra madre, Mark Ruffalo e i giovani Mia Wasikowska e Josh Hutcherson. Un ruolo più controverso e drammatico è ricoperto nel film di Todd Haynes, "The hours", ispirato alla storia di Virginia Woolf, interpretata da Nicole Kidman e dilatato in tre diversi momenti con più sottotrame. Nel cast la Moore ricopre un ruolo complesso. E' una casalinga degli anni '50, all'apparenza felice, ma in realtà profondamente scissa rispetto alla sua sessualità e i limiti imposti da una società conservatrice. Julianne, che precede la storia di Meryl Streep con ambientazione moderna, fà colpo e diventa il vero motore del film, sebbene a lungo assente, con un'interpretazione che si mostra viva e sfaccettata. Inoltre, a pare altri casi più tardi, Maude Leboswky, femminista convinta nel cult "The big Leboswky" presenta dei caratteri molto inclini ad un'immagine di donna mascolina. Ricordiamo che la tematica glbt non è nuova alla Moore nemmeno in contesti diversi: è la moglie disperata di un uomo omosessuale, interpretato con coraggio da Danny Quinn, nel melò "Lontano dal paradiso". E' la madre incestuosa di un ragazzo omosessuale in "Savage Grace. L'ultimo ruolo, meno riuscito, è quello dell'amica del cuore del professore George Falconer, interpretato dal candidato all'Oscar Colin Firth, nel letterario "A single man" di Tom Ford.







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