Tv-Movie of the day da vedere assolutamente - L'uomo che verrà



su SkyCinema1 alle 21,00


Il film di Giorgio Diritti è il nostro "Labirinto del Fauno". Ma non punta alla creazione di un mondo fantastico. Preferisce far risuonare l'eco di un mondo rurale, muto e chiuso da una cappa di paura. E' il terrore che pervade la scena, spezzato solo alla fine da una canzoncina eterea e sofferta di una bambina. Se Del Toro preferiva creare costruzioni mentali che, nella loro crudeltà, apparivano comunque votate ad un disegno salvifico, Diritti mostra il terrore senza fine e senza inizio, avvolto nell'atmosfera contadina di Marzabotto, nelle sue valli e nei suoi boschi, nelle sue case poco luminose e nel silenzio che segue l'azione. Nasce l'uomo, l'uomo che verrà, ma la visione è turbata e sola, avvolta e intersecata in un albero grande che guarda immobile verso il passato. La bambina guarda la vecchia casa, noi guardiamo il vecchio mondo. E percepiamo qualcosa. Non è un'emozione molto chiara, anzi piuttosto sottile. Non è un pianto disperato, patetico, quanto più una riflessione meditativa interiore. Il tempo è fuggito via, i ricordi sono stati annullati, la società si è trasformata. La storia è soggetta ad un revisionismo continuo. C'è chi preannunzia l'arrivo di un nuovo Duce. Come se fosse Gesù Cristo. C'è chi nega che gli Ebrei siano stati sterminati. Probabilmente sono tra noi, i nuovi Ebrei e i nuovi nazisti. Il patrimonio comune diventa un'acquisizione dubbia. Eppure è il motivo per cui stiamo dalla stessa parte, nella stessa civiltà. Non si tratta di appoggiare o meno un'ideologia politica, si tratta di "rispettare" la storia e analizzarla per così com'è. Marzabotto è il fatto, l'interpretazione del fatto è univoca, deve essere univoca. La Liberazione è stata il toccasana contro la persecuzione. Da qui si parte, si deve partire. Le scelte sono delle singole correnti, destra o sinistra o centro, ma la base è unica e sola. Diritti non fà politica. Delinea un ritratto. E come ogni ritatto è imperfetto, soprattutto nella caratterizzazione dei tedeschi (cosa che anche l'epigono Del Toro non aveva saputo affrescare), soprattutto nella sceneggiatura che perde la bussola in certi casi e spinge in un assoluto condensarsi di eventi senza il tempo di essere metabolizzati e messi a fuoco, e nella coralità troppo caratterizzata. Ma la pellicola, è anche un esempio di rigore sociale, un'analisi non viziata dalla politica, una storia che contiene in sè tante storie. E soprattutto è una storia di una bambina che vive il dramma di Marzabotto. Non vi aspettate nulla di stucchevole, nè di patetico. Potete vedere semplicemente il vuoto. Di uno sguardo assorto nel nulla. La piccola Greta Zuccheri Molinari, nominata al David di Donatello come miglior attrice Protagonista, otto anni, è di un'intensità rara, molto neorealista, ma con un piglio introspettivo nuovo. E lei il fulcro della pellicola, così come nel "Labirinto del fauno" era Ivana Baquero. Solo che Greta è molto più brava e sprizza talento a tutti i livelli. Il film è anche un pamphlet sulla vita contadina, collegandosi a Olmi, che viene omaggiata con l'utilizzo del dialetto emiliano. D'altronde Diritti aveva lavorato nel suo primo film con l'Occitano. Ottima la resa visiva, con qualche laccatura non adeguata, e la musica struggente. Nel cast, Maya Sansa sufficiente, più brava Alba Rohrwaker.
Con un viaggio ancora più intimo e interiore, il film di Diritti avrebbe lasciato il segno in modo indelebile.

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