Fish Tank



Le aspirazioni sono analitiche, ma la storia è anche uno squarcio sociale. Come se Loach si ripulisse e entrasse in contatto con "Viridiana" di Bunuel. Anche se entrambi sono lontanissimi, per non dire opposti. E anche se lo stile è un pò da Sundance, accuratamente ingentilito e molto fluido, con l'ausilio continuo della macchina a mano che non ha, però, la saccenza dei piccoli indipendenti. "Fish Tank" esplora, senza specificare nulla di nuovo, ad una prima lettura. Ma, al contempo, riassembla elementi "mostruosi" e li rende umani. Arriva alla crudeltà, al plagio, alla menzogna, all'ira, alla violenza, per poi trasformarsi in una splendida sequenza che non è di pacificazione ma di quiete. La quiete del movimento, di un ballo. C'è una lotta per la sopravvivenza e per il cambiamento che supera ogni frustrazione e dolore. Il bacino di "Fish tank" è quello adolescenziale, ma in realtà colpisce solo l'adulto, per la densità delle sfumature psicologiche. Da un lato viene ridimensionato tutto, anche se è sotteso che ciò che capita alla protagonista sia frutto di altri e indipendente dalla sua volontà. La regista Andrea Arnold, vincitrice del Premio della Giuria a Cannes un anno fa, non propone la sua ottica in modo arbitrario con una delimitazione manichea, ma sfuma i caratteri. E le psicologie si fanno più complesse, alla luce dell'unica constatazione che la vittima sia una sola, gli altri i suoi carnefici. Ma anche lei è una carnefice di altre sue vittime. Katie Jarvis ha un viso pulito e sporco, un pò come la protagonista di "Fucking Amal". La pulizia è giustapposta alla violenza, l'educazione è l'anello debole, la scuola e la famiglia le micce dell'astio. Non è lo squallido "Thirteen", non è pruriginoso nè laccato. "Fish tank" ha interpretazioni maiuscole, Fassbender in primis, e soprattutto è una storia agghicciante analizzata senza pietismo ma con grande apertura alla comprensione dei fenomeni psicologici e sociali. E' una storia di degrado, lucida, per nulla femminile nel senso comune della parola, fredda e calda insieme, documentaristica. "Precious", la storia ai margini, declamata, è solo uno squallido e pretenzioso ritratto di quart'ordine. "Fish Tank" non è un Michelangelo, ma quantomeno un Munch.

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