Soul Kitchen



Non ho mai avuto una predilezione per Fatih Akin. "Soul Kitchen", l'ultima fatica osannata come boccata d'aria fresca per essere semplicemente una commedia in un marasma di film drammatici presentati alla kermesse veneziana, conferma i miei dubbi. In prima istanza, perchè i film di Akin sono sempre film meticci, e l'elemento originale si asservisce sempre ad una coagulazione di popoli. Si obietterà: l'autore ha uno stile ben definito. Sicuramente. Ma la ripetizione dei soliti clichè non giova. Quando ci troviamo di fronte ad un film di Fakin, eccetto casi rari soprattutto nella prima fase, ci sembra di vedere, in declinazioni diverse, sempre lo stesso film, le stesse inquadrature, le stesse ambientazioni, gli stessi volti. E' come trovarsi di fronte ad un film di Ozpeteck, che per quanto cambi attori, fotografia, location, è sempre un film di Ozpeteck. La pellicola "Soul Kitchen" ha tutti gli elementi portanti di una commedia che si dimostra, a conti fatti, irrisolta. Per dirla chiaramente, la costruzione sembra posticcia, le molle di sceneggiatura con attacchi e stacchi troppo leggibili per emozionare, le trovate degne di un film di Brizzi con inflessioni autoriali, l'ensamble nella solita coralità che perde di mordente in un contesto che non sceglie una strada coerente e passa dallo stralunato all'aderenza reale. Una caratteristica di Akin è la capacità di mediare: ma l'ibridazione di ogni cosa sembra quasi un accontentare tutti e nessuno. Moritz Bleibtreu ha dalla sua la capacità di adattarsi ad ogni contesto (vedere la diversificata carriera) ma è proprio il personaggio eccessivamente stereotipato che non colpisce. Anche la colonna sonora risulta indigesta. Un merito del film sta nel non usare l'elemento culinario in modo predominante, senza indugiare troppo sulla piacevolezza del cibo, ma interessandosi a tutte le dinamiche quotidiane.

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