The Ghost Writer




5 stelle di 5

"The Ghost Writer" di Roman Polanski è la gestazione di un bimbo che si crede non avere possibilità di sopravvivenza. E proprio per questo la sua nascita è ancora più luminosa di quella di un bimbo sano. E, molto spesso, la sua tenacia per "esserci" è più forte di ogni altra cosa. Il film è un piccolo miracolo. Un miracolo di misura e calcolo, di struttura e di articolazione, di macchina e di ambiente, di tensione e calma, di scrittura (evidente il lavoro fatto dallo sceneggiatore Robert Harris, autore del libro omonimo) e di politica nel senso dispregiativo per eccellenza. E' lo stile e la storia, la verità e la bugia. Su quest'ultima dicotomia si basa l'intera vicenda. E la bugia non è solo depistaggio interno, per il ghost-writer, ma bugia per lo spettatore, che si trova di fronte a un qualcosa bypassato dalla ragionevolezza, ricco di intriganti colpi di scena, che si annullano a vicenda, e di "non detto", o meglio di articolazione coerente, disseminata di puzzle che combaciano in apparenza, ma non svelano la realtà, sfuggevole anche se chiara alla fine, destinata all'oblio, forse. Il film riesce a giocare sul thriller mantenendo un'impostazione non del tutto scura, noir, ma affidandosi a battute taglienti, nella miglior tradizione Hitchcockiana. Non c'è un complesso di Edipo, ma l'ex-premier dipende per molti aspetti dalla moglie. Polanski è un pò il ghost-writer, l'uomo chiamato a depositare per iscritto le memorie del politico al centro di molti scandali. Un uomo, il regista, che scrive le indicazioni dalla prigione, in minima parte, perchè altri le realizzino. Un personaggio, interpretato da Ewan McGregor, che confessa e sputa il sacco, senza freno. Un character che vive un contesto di disagio, circondato dalle mura quasi invalicabili di un edificio, la dimora del politico, immerso in una distesa arida di colori e fredda, gelida, in ogni suo minimo dettaglio. E se l'esterno è una visione dall'alto di un carcere, l'internoè una prigione comfortevole ma asettica, con aspetti da bunker e luci da ospedale. E' all'avanguardia ma povera. La fuga è un viaggio difficoltoso quanto la scoperta della verità. Il film ha una compostezza, evidentemente autobiografica, ammirevole, in cui la componente personale è sempre presente senza esserlo mai direttamente. E' un film di perizia registica, con angolazioni e profondità di campo, compiuta. E' un duetto maschile che diventa femminile, per poi intersecarsi nella complessità totale delle relazioni. Polanski si ispira per il suo Pierce Brosnan, interprete dell'ex-premier Lang (il nome è tutto un programma), a Tony Blair. E il film è una dissertazione romanzata dell'asse Bush-Blair. "The Ghost writer" è quel bimbo che nasce con difficoltà, e ringrazia, inconsciamente, il mondo che lo circonda per il semplice fatto di esserci. E Roman vuole esserci.

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