Agorà







Ipazia da Alessandria è stata, millenni dopo la sua morte, la vera protagonista anticonformista del 2009 e di inizio 2010. La filosofa, astronoma e scienziata di Alessandria torna alla ribalta. Probabilmente non ha mai goduto delle luci del proscenio, anche perchè, pur essendo un elemento di spicco della cultura del tempo con annotazioni astronomiche del tutto difformi dal pensiero tolemaico imperante e con una circospezione riguardo la forma delle sfere coniche, poi definita molto più tardi ( l'ellisse), per trovare un resoconto più completo non ci si può affidare che a un trafiletto del contemporaneo Socrate, a fonti storiche, e in un'epoca molto più tarda, a trascrizioni che spesso sono invettive, spesso segnalazioni doverose di ciò che si è nascosto. Perchè Ipazia è un personaggio scomodo? In primo luogo, perchè è una donna. Poi perchè è una donna sapiente. Infine perchè, dall'alta della sua concezione "democratica", basata sul modello classico, è una donna che pensa da sola. Qual è il pericolo che ancora oggi può suscitare Ipazia? Non vedo nella presenza della Chiesa Cattolica come un diretto deterrente al film. Dopo averlo visionato, noto che Amenabar non si sia lasciato travolgere dal suo anticlericalesimo evidente e abbia cercato una strada definita ma non erronea alla verità storica. Ipazia ha subito il martirio perchè "non religiosa", in un'epoca in cui il vescovo Cirillo, divenuto poi Padre della Chiesa e figura importante del cattolicesimo, realmente compì stragi ad Alessandria , incitando all'odio religioso. Per quanto questo aspetto possa essere giudicato anticlericalista, in realtà è una pagina storica nota anche se ovattata dal tempo. Ma il film non si limita a creare un ponte tra il mondo ecclesiastico antico e quello moderno, non evidenzia solo la cesura tra il mondo precristiano e postcristiano, in cui non manca tra l'altro di annotare la schiavitù come qualcosa di negativo che porta alla ribellione. Infatti pone una questione più importante. Si può perseguitare un'opinione? Un'opinione diversa da quella in cui noi crediamo? La risposta si trova in questo kolossal storico con la forma del phamplet moralistico in cui il messaggio chiave è riportato nella dicitura basilare per la vita umana: "Ci sono molte più cose che ci avvicinano, rispetto a quelle che ci allontanano". E' questo il principio deducibile, non un'istigazione a lottare contro la Chiesa Cattolica. La questione riguardante il potere religioso e il suo condizionamento nella vita sociale è un limite di libertà, ma non è solo questa la forma di potere che alimenta le divisioni. La guerra, lo scontro, la lotta, sono figlie del non-rispetto e della mancanza di eguaglianza. Interpretata da Rachel Weitz, Ipazia è una donna saggia e vicina agli altri, limpida e profonda, innocente e rispettosa. Il dramma della sua figura è derivante dal ribaltamento di un principio cardine di alcuni modelli sociali, come quello fondato sulle poleis greche (ben diverso il caso di Roma) con tutti i limiti legati alla schiavitù e al peso per le donne e gli Iloti, teso al Rispetto, e quello successivo, diretto dai "ribelli" cristiani, un gruppo che nasce soprattutto, a quanto alcuni storici affermano, come conseguenza del primo accogliendo fedeli dagli strati più poveri e marginali della società. A sua volta la morte di Ipazia va aggiunta a quella lunga serie di "persecuzioni" dei cristiani, che hanno infiammato un periodo piuttosto vasto della storia dell'impero romano. Ma la pellicola non ha vis polemica e si limita a chiedere "libertà di espressione" e parità di giudizio. La struttura del film è molto lineare, seguendo uno stile preconfezionato di grande semplicità. Gli eventi sono legati tra di loro in modo certosino, usando per i ponti temporali di intermezzo storico annotazioni a schermo fisso con le immagini suggestive del cosmo, della superficie terrestre. La pellicola è un pò ingessata all'inizio, si scioglie, progressivamente, e colpisce più il pensiero che il cuore. Anche se Rachel Weitz ricostruisce una figura che riesce a stregare per la compostezza e la forza delle sue azioni. In questo senso, anche l'Ipazia di Amenabar è un prototipo del femminismo. Molto complesso l'apparato scenografico, con costruzioni imponenti, così come la cura per i costumi e la musica, firmata dal premio Oscar Dario Marianelli, con inflessioni che sfidano la facilità di commozione, insistendo su suoni sinistri, epici, che sembrano echeggiare l'universo. Mi preme sottolineare che la direzione della fotografia è in mano a Xavi Giménez, che alterna in modo sapiente l'immagine sia con i movimenti macchinistci complessi, sia soprattutto con scelte per i colori che hanno un sapore di compostezza ed evitano un'ingiusta policromia accecante. Un buon film.

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