Alice in Wonderland

Alice in Wonderland




 Stasera su SkyCinema1 alle 21,00

Tim-genio-Burton si intrattiene con Alice. La favola diventa storia e la storia si affranca dalla favola per cadere nell'incubo. Ma l'incubo è un sogno ad occhi aperti. Non è un'Alice dark come ci saremmo aspettati. E non c'entra niente la costruzione scenografica che pullula di colori, pur mantenendo una connotazione globale filigranata con i toni scuri che spadroneggianno. E' un'Alice estetica nel senso più positivo della parola. E, in questo, senso, è tipicamente Burtoniana. In primis, è trasformazione mostruosa. Perchè ogni piccolo personaggio è mostruoso, anche la stessa Alice che cresce e si rimpicciolisce. I filtri magici, le torte, la fanno ergere o diventare minuscola, avvolgendosi in un vestito, che cade in terra come una spire. Alice è smarrita, perduta nella sua testa pullulante. Non è la bimba ma la ragazza che è pronta ad essere donna. E' un viaggio, il suo, in un Paese che già conosce, il cui ricordo è svanito ma ritornerà in una lunga carrellata di flashbacks. Tim-genio-Burton non si vende, come hanno detto in molti. Ma non abdica nemmeno allo scavalcamento di una storia. Sarebbe stato fantastico un finale alla Ed Wood o anche scorgere Big Fish o la disperazione di Edward. Ma Alice non è la regista, la storia, la diversità. L'Alice di Mia Wasikowska non è nemmeno la Lydia di Winora Ryder ìn Beetlejuice. L'elemento di partenza è lo stesso: l'estraniazione da un mondo che non appartiene. Alice non ama il suo vivere, o propriamente, non ama il suo tempo. Non è etichetta. Di certo la figura non è complessa. La sua bellezza la rende distante dai freaks di Burton. C'è un passaggio iniziale che è telefonato ma in grado di definire, anche se in modo incerto, una leggera psicologia di convivenza con le strane creature del regista. Le creature la chiamano per assicurarsi il bene, per sconfiggere la Regina Rossa. Ma in realtà, è solo dopo aver riportato la sua vittoria immaginaria, che lei stessa riesce ad acquisire la sicurezza di affermarsi nella vita reale. E' come se i freaks le avessero dato la forza di essere sè stessa e scegliere ciò che vuole. Mia non mostra una dirompenza scenica di impatto. Forse è l'incertezza della giovane età che prende il sopravvento.La sua freschezza è invidiabile. Se questo ruolo fosse andato a Dakota Fanning o Saorsie Ronan, probabilmente il peso della performance sarebbe stato eccellente, ma privo dell'ingenuità di una ragazza più grande, ma meno impostata. Il "paese delle meraviglie" è costellato da personaggi, come detto, che sfuggono alla ragione. Questi fantasmi mentali sono di buon animo ma del tutto fuori di zucca, di animo cattivo ma più calcolatori ed intelligenti. La Regina Bianca di Anne Hathaway è tanto benevola e incline all'amore, quanto cinica. Promulga la sua volontà di non calpestare le vite umane con una certa sufficienza, ma non si limita a condanne lievi nei confronti della sorella. Il suo incidere è tanto lieve quanto pesante. Lieve per l'eleganza, pesante per la sottolineatura della sua essenza aristocratica. Paradossalmente, la Regina Rossa della Carter mostra nel suo essere spietata sempre e comunque, un'umanità meno stereotipata, una psicologia più sfumata, risultando empatica. Il dualismo è quindi un tratto distintivo dei freaks burtoniani, così come dei personaggi dell'Alice di Carrol. Lo stregatto ne è un esempio. Ma nessuno sfugge dalla doppiezza. La concretizzazione fisica è messa in luce dai due fratelli Pinco Panco e Panco Pinco, che sembrano la medesima persona, ma pensano ed agiscono in modo contrario, come se una parte di sè si contrapponesse ad un' altra. Infine, il Cappellaio Matto, citando solo i characters principali. Johnny Deep, non risente della crisi naturale in un sodalizio artistico con il regista. La sua maschera, talvolta fuori forma con altri director, con Burton è smagliante. D'altrocanto la sua creatività è sottolineata dall'invenzione fisica del suo personaggio. Una meditazione che oscilla tra la pazzia e la lucidità, con un'enorme malinconia di fondo. Il 3D è un'aggiunta. Non è l'elemento centrale e forse il business della stereoscopia deve aver influito, giacchè il film è stato girato nel normale formato e poi convertito in fase post-produttiva. Elfam, dopo qualche fiasco, ritorna al top con suoni potenti e anche l'aggiunta di Avril Lavigne sui titoli di coda non è da buttar via. Per concludere, i mostri di Burton appaiono, nella loro iniquità e pazzia, più mansueti dei mostri che impediscono la vita reale. In questo senso, la poetica di Burton non subisce una retromarcia, tanto è che il finale sembra un omaggio più che un pensiero, una necessità più che una volontà.

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