La prima cosa bella




 La Prima Cosa bella è il candidato italiano per Gli Oscar 2011



Fantastico
La prima cosa bella di Paolo Virzì, ci preme dirlo, è un film bellissimo. Tocca le corde umane concatenando commedia e tragedia in un solo momento, in un'unica sequenza. Ciò che colpisce è la possibilità di definire in campo, tramite i dialoghi, un misto di commozione verace e di ironia tagliente.Virzì intaglia un piano che in superficie risulta vacuo. In realtà, cosa rarissima, quasi impossibile nel nostro paese, arriva a dei livelli di concatenazione spazio-temporale e dialogici complessi e sfumati, con picchi che solo la vecchia commedia all'italiana, quella di Risi e Monicelli, può eguagliare. Il primo elemento in comune sta nella coralità. Alcuni film di Risi (Una vita difficile) e molti di Monicelli (i soliti ignoti, per esempio) rischiano la carta dell'antipsicologismo con una serie di macchiette umane. Si tratta sempre di un'analisi di facciata, non di comprensione analitica. Più di qualunque grande regista italiano, dall'estetismo di Visconti alla dimensione onirica di Fellini, dall'alienazione di Antonioni, al tocco intellettuale del popolano Pasolini, nessun autore è stato in grado di definire un mondo sociale con l'arguzia della commedia degli anni d'oro. Se i film complessi stilisticamente e contenutisticamente colpiscono solo una certa fascia di pubblico, i film a facile fruizione riescono, paradossalmente, ad incidere nei cambiamenti o, più spesso, nella raffigurazione di cosa e di chi ci stia intorno. Un film che mescola l'alto e il basso ha più possibilità di ricezione, di un film alto, o anche di un film basso. Infatti, nel mezzo, nell'intercapedine che separa il tragico dal comico, il grottesco dal macabro, il romantico dal raziocinio asettico, c'è un elemento di mimesi della realtà clamorosamente definibile. Ciò che si guarda è ciò che si è. Virzì esprime una coralità integrata, simmetrica, ordinata e la convoglia nell'emozionalità pura. Il suo lavoro di artigiano dei ritratti umani lo porta a definire personaggi che si affrancano dalla macchietta, pur prendendone l'ilarità, e diventano persone. E' sempre chiaro che un film non sia la realtà in modo assoluto, come sottolineato da momenti del tutto impensabili in un certo contesto, ma è anche vero il contrario, in quanto ogni persona risponde come sente prima di realizzare razionalmente, in certi casi, in totale individualità. E forse la poesia riconciliatrice è l'ottica più condivisibile. Detto questo, il film è strutturato secondo uno schema del tutto innovativo per il cinema italiano, con un uso smodato del flashback, del ralenty, della sovraimpressione e soprattutto dell'ellissi contenutistica che lega perfettamente momenti in spazio e tempo molto lontani. La direzione degli attori è eccellente. Valerio Mastandrea è al ruolo della vita e mostra una capacità spiccata di introspezione. Claudia Pandolfi, dopo il buon Cosmonauta, si conferma un'attrice tutt'altro che inespressiva, cresciuta in modo incredibile. La Sandrelli, come giusto, non domina la scena ma la sottintende, niente è definibile se non in relazione al suo personaggio. Infine, intensa, mutevole, la giovana certezza Micaela Ramazzotti, che si afferma per il suo tratto popolano come le grandi dive del passato del neorealismo rosa con un' indagine emotiva curatissima. Un film di cuore, tra città e provincia.

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