Up

A nonno Carl piace Clint










Up ha il classicismo americano e la trepidazione avventuriera di un Flynn mescolato alla visionaria capacità di stupire di un Miyazaki bambino, meno onirico e più commerciale. C’è una separazione troppo forzata tra le due anime di un film d’animazione i cui intenti non raggiungono la fruibilità di un classico come Ratatouille, né la complessità contenutistica e stilistica di un Wall-E che suona quasi come un episodio a sé stante, alieno da una trattatistica per bambini. “Up” è grande cinema, si rammenti, ma non rende il cinema grande…Troppo scisso per essere un film bambino, anima del vecchio Disney (perché la lacrima segue il sorriso, ma con un’intensità meno compiaciuta e sofferta che in questo caso), poco costruito, senza una vera sequenzialità logica, per essere un film d’avventura rutilante, Up finisce per non essere né carne né pesce, in bilico tra l’autoriale e il commerciale, tra il tradizionalismo di Bambi e l’innovazione animata della mimica di Wall-E. Il problema non è dei characters quanto delle scelte di sceneggiatura: Carl Fredricksen, il nonnetto, occhiali spessi e macchie sulla pelle (3-D o meno, la resa visiva raggiunge dei livelli formidabili), è un personaggio monumentale, ascrivibile di diritto negli annali cinematografici come ispessimento del tema adulto nell’animazione, ma manca delle battute giuste, di quelle che si imprimono. Il tema che ruota attorno alla sua storia è, d’altronde, così nobile che ne fa una figura tanto umana quanto mitica, esempio di una forza di volontà e di un attaccamento alla vita incredibili. La morte della moglie Ellie è una pagina emozionante, con una costruzione in flashback tradizionale che rimanda alla vita di coppia, con una messa in scena meno melodrammatica, più contenuta, più sincera. Le fotografie iscritte in una cornice rammentano una storia che procede lungo le epoche, con una vita sognata e una vita vissuta che si combattono, tra una dolorosa scoperta (l’impossibilità di procreare) e un miraggio da cinegiornale ( Lo “spirito di avventura”, dal nome di di un ottovolante, di Muntz, l’eroe paranoico che passa dall’idealizzazione all’antagonismo). Carl è il veterano di “Gran Torino”, meno segnato dalle esperienze, ma altrettanto malinconico. La problematica di Up sta altrove, di certo non nel suo carattere principe. Russel, l’asiatico ragazzetto, erede della tradizione dei boy-scout, è tanto paffuto quanto spiritoso, insapore in certi punti, eccessivamente buonista (manca del carattere da scugnizzo di ogni bambino), ben costruito sotto un profilo psicologico. Da qui parte l’altra faccia di Up, quella del film d’avventura, tra Verne e Indiana Jones. E la sceneggiatura ha dei passaggi tanto banali quanto gratuti, da Kevin, l’uccello multicolore a Doug, un cane parlante. Siamo su un piano ovvio che non ha la capacità visionaria di un Miyazaki nell’action, nè la compostezza sequenziale di un Disney o Pixar. Il livello è meno spettacolare dell’Era Glaciale, per dirla chiaramente. E la poesia dei palloncini che fanno ascendere una vecchia casa nel cielo viene cancellata nei colori spaziali e nelle dinamiche adulte. Up è grande cinema, in certi momenti, ma non rende giustizia ad un cinema grande, nella sua definizione massima di masterpiece, non avendo il coraggio di scegliere tra l’adulto che è in lui o il bambino, o più propriamente, non riuscendo a contattare il bambino dinamico che è in tutti gli adulti, creando un mondo d’avventura troppo classico ed immobile, in contrapposizione ad un mondo reale tanto perspicace. La destinazione è così incerta che nè il bambino nè l’adulto possono esserne soddisfatti.

Commenti

  1. Film mediocre ma piacevole. Non c'è molto da aspettarsi e non siamo ai livelli di Wall-E però sono rimasto piacevolmente stupito lo stesso. Il film meriterebbe di essere guardato solo per i primi 10 minuti di film e per il cane Dug che a me piace troppo.

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